Stefano D’Onghia – La Passione, l’Impegno e la Buona Creanza!

25 Febbraio 2014
|   IN
|   BY
Anna Salvatore

fotoIn un pomeriggio di un piovoso inverno,  mentre si muoveva con maestria  tra i fornelli di una cucina non sua, ho incontrato lo Stefano D’Onghia, classe ’71, chef del ristorante “A’ Cr’janz” di Putignano (BA), il paese del Carnevale più vecchio del mondo; Appassionato di cucina da sempre, inizia la sua attività a 33 anni con un diploma conseguito nella rinomata Scuola Internazionale di Cucina ALMA, diretta da Gualtiero Marchesi. Dopo uno stage al fianco di Marchesi stesso nel ristorante L’Albereta ad Erbusco; e varie collaborazioni con Teresa Galeone Buongiorno (Già sotto l’arco), Antonella Ricci (Fornello da Ricci) e Gennaro Esposito (Torre del Saracino), decide quindi di dedicarsi alla cultura gastronomica popolare, e per due anni lavora presso Il Trullo D’Oro ad Alberobello (BA). Infine, nel febbraio del 2011 decide di far nascere il ristorante A’CR’JANZ, dedicando a questo progetto tutta la sua esperienza. Dal 2013 lo affianca con professionalità ed eleganza, la giovane moglie Valentina Decataldo.

Ciao Stefano D’onghia , chef del Ristorante “A’Cr’janz” di Putignano, il paese del Carnevale, mi spieghi innanzi tutto, con le tue parole e per i non pugliesi, il significato, non solo letterale del termine  “A’Cr’janz”?

Letteralmente è la” buona educazione”. Anticamente il galateo imponeva di recarsi ad un invito a pranzo, avendo già mangiato prima. In modo da non divorare tutto quello che veniva offerto e lasciare sempre qualcosa nel piatto. Per Buona creanza appunto. Diciamo che il significato è che a tavola il garbo e la buona educazione non devono mai mancare.

 Io ti ho definito chef, ma forse nel tuo caso il termine più corretto è proprio Oste perché “A’Cr’janz”   di una vera Osteria si tratta. Pensi che questo termine sia riduttivo?

Assolutamente no! E’ proprio quello che volevo fare. Anzi, credo che a volte il rischio sia quello di incorrere in una cucina più vicina alla ristorazione ricercata che alla cultura gastronomica popolare.

E tu invece che tipo di cucina che proponi ai tuoi clienti?

Difficile dirlo. Sicuramente c’è la ricerca dei prodotti del territorio, ma credo che sia una cucina difficilmente catalogabile, non inquadrata.

 Oltre ai riconoscimenti delle guide Osterie d’Italia Slow Food, I Ristoranti d’Italia dell’Espresso  e Dolcepuglia, sei recentemente stato presente ad Eataly per la Festa delle Osterie di Puglia, insieme ai cuochi più rinomati della gastronomia pugliese (B. Zullo, A. Ricci …), questo significa che sei giustamente entrato nella rosa dei grandi?

I riconoscimenti fanno sicuramente piacere, ma quello che ogni giorno mi gratifica maggiormente è proprio il piacere stesso di fare questo lavoro. E’ un mestiere fatto soprattutto di sacrifici, e solo la passione può farti sentire meno la fatica.

 Che tipo di clientela frequenta il tuo locale? Il consumatore, secondo te, è realmente  cambiato nel corso degli ultimi anni? E’ più attento a quello che trova nel piatto e nel bicchiere anche al ristorante?

Il consumatore è sicuramente cambiato. E’ più attento non solo alla qualità di quello che gli viene proposto, ma anche a quello che spende. In questi tempi di crisi il rapporto qualità-prezzo ha la sua importanza.

 Nella tua Osteria il vino è quasi tutto pugliese, un tempo fanalino di coda della produzione italiana di qualità, come mai questa scelta? Quanto pensi che conti il vino in abbinamento ad un buon menu? E quanto dovrebbe incidere sul prezzo finale?

Sono del parere che il vino debba essere  complementare e non predominante. In una vera osteria il vino dovrebbe essere anche solo quello della casa. Ecco perché la mia scelta di far anche etichettare alcune bottiglie con il nome dell’osteria, con un vino che rispecchi le caratteristiche di territorialità, qualità e prezzo.

 Si parla tanto della presunta rinascita dell’enogastronomia pugliese; il comparto enologico, insieme al turismo enogastronomico, sembra essere il settore trainante dell’economia del territorio. Pensi che questo cambiamento sia reale e possa rappresentare un vantaggio per tutto il comparto? Quali pensi che siano i meccanismi che l’hanno determinato? E qual è la direzione da seguire per rafforzare questo successo?

Voglio raccontare un aneddoto: alcuni giorni fa sono venuti a pranzo da me un gruppo di australiani che si stanno trasferendo in Puglia. Sono venuti perché la Puglia oramai è in voga e l’osteria è stata segnalata dalle guide. Ma la soddisfazione più grande è che mi hanno già prenotato il pranzo di domenica. Voglio dire che spesso la fama dei grandi nomi non è commisurata. La crescita di alcuni può rappresentare un traino economico per tutti se supportata dalla sostanza. Ci vuole più autenticità, un ritorno alle origini, questa è la strada. E in Puglia ci sono un po’ di giovani chef che lo hanno ben in mente. E penso ai vari Angelo Sabatelli, Maria Cicorella e Felice Sgarra.

 A questo proposito, cosa ti senti di dire ai giovani che, spesso spinti solo dalla moda del momento, si avvicinano a questo mestiere? Quali pensi che siano le caratteristiche necessarie per diventare un bravo Chef?

Sarò ripetitivo, ma voglio insistere sul fatto che questo è un mestiere che lo fai solo se c’è vera passione. Richiede tempo ed esperienza. Solo così si possono ottenere risultati.

E se invece potessi dare un consiglio ai consumatori?

Direi di non fidarsi mai dei prezzi “stracciati”. Nessuno regala niente…

 Stefano tu ti sei avvicinato al mondo della gastronomia relativamente da grande, se rinascessi rifaresti la stessa scelta?

Assolutamente sì!, anzi comincerei da molto prima…

 Grazie Stefano,

Anna Salvatore

osteriaacrianz